Laura Gay

20 Maggio 2020

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IL PERDONO TRA MORALE E ETICA

IL PERDONO TRA MORALE E ETICA

L’essere umano è per sua natura un essere sociale. Le relazioni sono il fondamento dell’essenza dell’Umanità e possono attuarsi nel riconoscimento dell’alterità, laddove è possibile l’incontro nella reciprocità tra soggetti distinti, oppure nella specularità, dove l’altro rappresenta una immagine riflessa di sé o di preconcettualizzazioni e clichè.

L’essere umano oscilla tra l’ETICA e la cosiddetta MORALE, per le quali è necessario fare una distinzione. La prima appartiene al Soggetto, la seconda è territorio nel quale l’Ego trova spesso ampio spazio. Soggetto e Ego sono posizioni che gli individui possono assumere, ovvero modi attraverso cui l’essere umano si approccia alla realtà.

La parola perdono riporta all’azione attraverso la quale una persona tende a svincolare dalla colpa un’altra, in rapporto ad un dato avvenimento. E’ intesa, in genere, come una decisione di una persona che rivolge un’attenzione ad un’altra. L’atto di perdonare coinvolge le persone determinandone fortemente la qualità della vita: è connesso infatti con l’esistenza umana e con la capacità di superare le difficoltà, di lasciar andare, di scorrere nella vita.

La cosiddetta MORALE è la scienza che dirige le attività libere dell’uomo. La sua radice etimologica si riferisce al senso della misura, tradotta nei costumi, nelle usanze, nelle abitudini e nelle regole di un dato contesto sociale. Su di essa si basa il concetto predeterminato di giusto e sbagliato, che si pone come fondamento di possibili polarità: giusto o sbagliato, dentro o fuori, appartenente o escluso, pro o contro, ecc., e in esse sono compresi i comportamenti umani. La morale definisce le “norme culturali” e sociali attraverso le quali chi ne fa parte, percepisce che sia giusto o sbagliato agire in un modo o in un altro. Questo prende forma nel cosiddetto “…si fa così!”.

In contesti fortemente moralizzati, le norme sono introiettate per adeguamento, e le persone le assimilano per omologazione: in altri termini la norma si impone nei confronti della società, e dunque sul singolo, come giusta a prescindere, pertanto le persone la seguono e si seguono tra loro, certe del fondamento di giustizia da cui la norma scaturisce, senza porsi domande. La realtà vista dall’individuo è orientata a priori, e rappresentata da indicatori e parametri indotti, e anche la dimensione spirituale è incanalata generando dogmatismi, restrizioni del punto di vista strettamente soggettivo individuale. È possibile affermare che le norme morali entrano a far parte del mondo interno delle persone e non perseguono affatto l’obiettivo di “sviluppare Soggetto” negli individui.

Cosa si intende per Soggetto?

Il Soggetto è colui che compie l’azione, colui che si rende attivo e partecipe del proprio agire. Per “sviluppo di Soggetto” e “assunzione della posizione soggettiva” si intende l’agire personale, che ha origine dal sentire individuale. Sviluppa Soggetto, dunque, la persona che agisce a partire dal proprio mondo interno, dalle proprie emozioni, percezioni e sensazioni, riconoscendo l’unicità propria e dell’altro.

La Morale tende, invece, a omologare, ovvero a rendere uguali i comportamenti negando la soggettività. Si creano così  le masse e, attraverso la cosiddetta “pressione di conformità”, la massa schiaccia la soggettività che è portatrice di desideri, bisogni, istanze, emozioni singolari. Attraverso l’omologazione di massa basata sulla moralizzazione, è alto il “pericolo” di annullare le specificità soggettive e dunque anche le autonomie che la singola persona può sviluppare. Il senso di appartenenza guida le decisioni personali e nega il cambiamento, che provocherebbe l’esclusione dall’omologazione di massa. Le persone non sono incentivate a cambiare e riconoscersi come inedite creature portatrici d’innovazione.

C’è invece perlopiù un invito a conformarsi ad una immagine di “buono/cattivo”, che funziona da parametro per sentirsi accettati o esclusi. La persona schiacciata dai meccanismi della conformazione morale alla massa, segue, persegue e insegue l’immagine di sé riflessa dalle norme stesse, con la necessità ed il fine di essere accettata. Per questo teme di sbagliare, teme fortemente il giudizio e di non fare la cosa giusta.

A sua volta il concetto di “giusto/sbagliato” genera polarizzazioni e inevitabili schieramenti: chi è nel giusto è incluso, chi è nello sbagliato, è escluso, per la stessa prescrizione portata dalla norma morale.

Questa impostazione della società è fortemente egocentrica. Incentiva l’ego e non valorizza la soggettività, ma la manipola, la converte, la confina, la stigmatizza; la compra seducendola. Elimina l’alterità (intesa come percezione e inclusione dell’altro) confinandola nella colpa e nella punizione conseguente. Se non ci si adegua alle norme esplicite o implicite, nei contesti fortemente moralizzati, si è colpevoli. E così l’ego  individuale viene nutrito costantemente da premi e punizioni “ammaestranti”, annullando nel soggetto la capacità di ascolto di sé e dell’altro.

Le persone in questa posizione fanno fatica a scegliere per la propria soggettività. Si rifanno semmai a norme sociali, morali e dunque a modelli. Non c’è una reale percezione di sé e dell’altro, ma una strumentalizzazione nella quale ciascuno è oggetto dell’altro. La capacità di scegliere è essa stessa schiacciata dall’omologazione. La distinzione tra uno e l’altro è predeterminata. Le scelte singolari tra una possibilità o un’altra sono negate a priori, perché la persona deve scegliere solo ciò che tutti scelgono, perché sono le norme ad imporlo. La libertà soggettiva è pregiudicata dall’adeguamento che chiede sempre in cambio l’omologazione.

Nulla è per dono (ovvero senza alcuna condizione), ma tutto è in cambio dell’essere accettati, dunque condizionato.

In questa posizione moralizzata, essendo negata l’esistenza dell’altro in quanto soggetto unico e distinto dalla massa, è impossibile offrire alcunché, poiché , paradossalmente, l’altro non esiste. Non solo il dono è negato in quanto ogni azione è condizionata, ma è addirittura l’altro destinatario ad essere negato nella sua stessa esistenza, poiché è negata e mortificata la soggettività singolare. L’altro non esiste se non inteso come uguale a se stessi, indistinto da se stessi, ovvero indistinto dalla massa in cui ciascuno si identifica. Dunque nella morale offrire come dono (per-dono), l’azione di per-donare, ovvero l’azione che libera l’altro e lo accoglie nella propria unicità, non esiste poiché l’altro non è visto. Il concetto di dono è negato, così come è negato l’altro pertanto l’atto del (per)donare è impossibile

Il perdono nella morale è concepito limitatamente all’a assoluzione dalla colpa e non è collegato al reale “dono” per se stessi e l’altro.

Quando invece è il Soggetto a muoversi come tale, ovvero come portatore della propria singolarità e unicità, esso si muove per la propria ETICA seguendo l’espressione delle proprie “non ordinarie” personali e specifiche caratteristiche, talvolta anche recondite e misteriose. Un’antica radice etimologica di ETICA riporta al sanscrito SVA-DHA ( dove per “sva” si intende suo/proprio e per “dha” si intende porre/fare: il fare, il porre proprio di ciascuno, lo specifico fare del soggetto, mosso dalle proprie uniche percezioni, emozioni e esperienze. Ciascun essere umano è dunque portatore di unicità e singolarità e di una propria ETICA.

La soggettività è l’espressione della propria singolarità che, come tale, incontra quella dell’altro, senza il quale la soggettività stessa verrebbe meno. Non solo: per riconoscere la propria soggettività è necessario includere la percezione della singolarità altrui.

L’etica è rappresentata dunque dall’accoglienza delle specificità singolari dell’individuo. Uno per uno. In questa distinzione si genera Soggettività. E, nella espressione della propria  soggettività, la PAROLA è il “canale” attraverso cui il soggetto si porta verso l’altro, manifestandosi.

La parola è veicolo delle emozioni, delle sensazioni e percezioni soggettive. E’ il modo attraverso cui il soggetto descrive la relazione tra il proprio mondo interno, cioè la propria realtà emotiva interna (il reale del soggetto) e il mondo esterno. In questa accezione di realtà soggettiva, anche la dimensione spirituale è inclusa. Questi “mondi” sono interconnessi attraverso la persona stessa che li nomina con la parola, intesa questa non solo come il dialogo fatto di verbalizzazione ma, come ogni forma di manifestazione soggettiva: sessualità, arte, espressività, spiritualità, ecc.

Nell’esprimere e nell’incontrare l’espressività altrui attraverso tutte le possibili manifestazioni, si crea il legame, il cosiddetto “legame di parola”. Il legame di parola è dunque il modo attraverso cui prende forma la relazione interpersonale, che riconosce la singolarità e unicità dei suoi soggetti protagonisti.

Il soggetto, attraverso la propria singolare etica, osserva e si relaziona col mondo attraverso la parola; lo conosce, lo incontra tramite il proprio sentire, lo riconosce come diverso e altro da sé, originale e unico, poiché costituito da altre innumerevoli specificità e unicità. La realtà viene conosciuta attraverso l’esperienza singolare soggettiva e dunque, per l’individuo, essa esiste in quanto esperienza soggettiva.

La posizione soggettiva è tale poiché ascolta e ri-conosce il sentire del soggetto, il quale compie l’azione. Nel compiere l’azione il soggetto che origina il proprio agire dal proprio sentire, compie scelte. La scelta è dunque l’effetto del sentire soggettivo, la manifestazione singolare e che, in quanto singolare, supera i costumi, oltrepassando le omologazioni. La scelta soggettiva diviene la base dello scambio interpersonale, diviene l’oggetto della parola che dà significato alla realtà (significa il reale).

Portare all’altro la propria soggettività e accogliere quella dell’altro è il fondamento del dono. La parola è per-dono e il per-dono si fa dunque parola. L’atto di perdonare è espressione della soggettività che investe sul legame di parola, ovvero generato dalla circolarità stessa del dialogo (la parola dei due). Il dialogo è lo scorrere dell’uno verso l’altro e dell’altro verso l’uno, mentre entrambi vanno altrove, nella ricerca di significato della realtà.

È in questo cammino sulla via dello scambio e dell’incontro di “parola”, che si genera la domanda. L’altro è portatore del nuovo, dell’inedito e interroga per la sua stessa presenza. La diversità interroga, genera domanda, che stimola e dunque chiama a rispondere. L’uno e l’altro.

Nel dialogare, nel legame di parola, ciascun soggetto è coinvolto nell’atto di domandare, connettendosi al proprio sentire. A partire dall’etica soggettiva, la domanda rappresenta un’offerta incondizionata, che a sua volta è stimolo per l’incontro di soggettività. La domanda è dono. La domanda è per-dono, ovvero una offerta incondizionata, orientata ad accogliere qualsiasi forma di risposta. E’ uno stimolo direzionato a prendere contatto, a generare innovazione. La domanda da una posizione etica soggettiva è essa stessa per dono che genera in primis abilità a rispondere. Ogni soggetto è stimolato a rispondere alla domanda facendosi dunque abile ad accogliere la parola dell’altro, intendendola essa stessa come dono. La domanda genera abilità a rispondere (responsabilità). Il soggetto dunque perdona, facendosi responsabile del proprio sentire in relazione all’altro. Da qui la possibilità di superare colpevolizzazioni, giudizi, schieramenti, filtri, confini, colpe e punizioni. Si genera spazio, abilità, accoglienza.

Da una posizione etica soggettiva, il perdono si manifesta nel suo essere spazio per l’altro e non assoluzione. Uno spazio che diviene spirituale e reale insieme e che non pone condizioni, uno spazio che non mortifica e che dà vita: dal latino a-mors (che trascende la morte). Possiamo chiamare quello spazio Amore.

Marco Finetti

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