Marco Finetti

30 Agosto 2018

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PLAYBACK THEATRE: L’ARTE CHE CURA

PLAYBACK THEATRE: L’ARTE CHE CURA

Spiega Jonathan Fox ideatore del Playback Theatre in ”La questione “terapia” (articolo pubblicato su Interplay, Vol XVIII No. 2 Dec 2013,  www.playbacknet.org, traduzione Luigi Dotti).

L’applicazione del Playback Theatre in Counseling

Gli appassionati di teatro ci guardano con sospetto e si domandano: “è terapia questa?”, sebbene noi affermiamo il contrario; gli psicodrammatisti e i drammaterapisti ci rivendicano come loro simili. Come rispondere? Ho sempre sentito che l’indefinibilità del Playback Theatre è positiva. D’altra parte, molte persone, dai semplici partecipanti ai fondatori, hanno cercato di trovare la giusta categoria per il playback. Le radici del Playback Theatre nella tradizione orale sono una causa di questa difficoltà. Le culture tradizionali orali tendono ad essere olistiche. La storia che il cantore popolare racconta è sia una lezione di storia che un intrattenimento. La maschera indossata dal danzatore è uno strumento che aiuta un processo curativo e al tempo stesso una creazione artistica. La cultura moderna è più specializzata. Tu pratichi l’arte o pratichi la psicoterapia. Se le fai entrambe, le fai certamente in tempi e spazi diversi. Un secondo problema ha a che fare con il significato della psicoterapia, che è in molti modi troppo stretto per accogliere il playback theatre. Ancora, il PT non si adatta al modello di psicoterapia ampiamente praticato nel nord del mondo: durata di 50 minuti, a voce bassa, rapporto uno a uno… Non si adatta nemmeno al modello medico di cura al quale aderiscono la maggior parte delle psicoterapie: il playback non intende risolvere problemi mentali; nemmeno è privato e protetto. Lasciatemi affrontare due questioni correlate: la connessione tra playback e psicodramma, e la pratica terapeutica del playback theatre. Lo psicodramma ha permeato e influenzato il playback nel suo primo sviluppo. Ma non lo definisce. La filosofia di Moreno ha molto da offrire, specialmente i concetti di spontaneità e sociometria. In alcune regioni molti professionisti del PT sono anche formati come psicodrammatisti (incluso me stesso). Ma questa influenza non rende il playback un figlio dello psicodramma. In alcune situazioni gli psicodrammatisti, i drammaterapeuti, i terapeuti espressivi, ed altri psicoterapeuti utilizzano il playback come metodo aggiuntivo nella loro pratica clinica. Questa è una applicazione specifica del playback che raramente include la performance e quasi sempre richiede una sorta di adattamento per integrarsi con il particolare setting terapeutico. In questo impiego, praticato da terapeuti per scopi terapeutici e in un setting terapeutico, è corretto dire che il playback theatre è terapia. Ma il principale uso del playback è in setting di comunità. Parliamo di playback come teatro; alcuni lo chiamano sviluppo culturale di comunità; alcuni, narrazione di storie; alcuni, educazione e formazione; alcuni, comunicazione. La maggior parte di noi non chiama queste cose terapia. Cionondimeno il playback theatre è ampiamente terapeutico.

Arte che cura

Per gran parte la psicoterapia, focalizzandosi sulla cura degli individui, resta apolitica. Diversamente, quando il focus è centrato sulla comunità, le domande di giustizia sociale e di oppressione storica richiedono attenzione. Chi ha spazio per raccontare la sua storia? Chi ascolta? Chi no? Uno dei valori del PT è consentire l’accesso a chiunque, anche a chi è tradizionalmente silente, e questo lo rende uno strumento potente di cambiamento sociale. Si può dire anche che il playback tratta non (solo) gli individui, ma anche la società. Quindi, sebbene la cornice del PT sia più ampia della psicoterapia, e non si conformi ad alcune delle sue linee guida, l’efficacia del PT sulla costruzione dell’io, la risoluzione del conflitto, il lavoro con il trauma e l’aiuto alle persone a prendere positive decisioni sul loro futuro, suggerisce che esso possa accordarsi con molti degli obiettivi della psicoterapia. C’è ancora molto che non conosciamo di come funziona il PT. In effetti la maggior parte dell’evidenza è aneddotica. Conoscere nei nostri cuori quanto è stato efficace per noi non è abbastanza. Abbiamo necessità di sviluppare un linguaggio adatto ad un approccio che fornisce un rituale di cura della comunità. Abbiamo bisogno di descrizioni ricche e analisi dettagliate di un processo che è altamente dinamico ed effimero. Che cosa accade al corpo del narratore quando guarda la sua storia rappresentata? Che cosa sono esattamente i processi di comunicazione tra i membri del pubblico e i performer? Che tipo di consapevolezza avviene tra coloro che partecipano ad una performance di PT? Qual è l’effetto dell’essere presente alla narrazione e alla rappresentazione di storie personali? Che ruolo gioca la cerimonia/il rituale/la struttura/il percorso della performance nella creazione di una esperienza positiva duratura per i partecipanti? L’attore di Playback israeliano Uri Alon, che è anche professore di biologia molecolare e fisica dei sistemi complessi, è interessato ad investigare come e perché il Playback Theatre funziona. Altri studiosi stanno scrivendo saggi sulla stessa questione da diverse angolature. Questo è un eccitante sviluppo. In ogni caso, noi continuiamo a sostenere che anche se il playback indubbiamente cura, esso non è terapia, e come la danza e il dramma delle società tradizionali, noi respingiamo la distinzione tra arte e cura.

Playback Theatre per formare l'Identità

Di questo non vi è dubbio. In che modo? Così è come ne penso: Formazione dell’identità

– Il bisogno di raccontare la propria storia è primario. Di più, sembra che raccontare la nostra storia ci aiuti grandemente a definire noi stessi a noi stessi. Questo processo è compatibile con il concetto di Boal di coscienza critica. L’antropologa Barbara Myerhoff parla del valore delle cerimonie di definizione. “Le storie di vita, scrive, danno alle persone l’opportunità di diventare visibili e di accedere alla loro coscienza riflessiva”. Diventando narratori, diventiamo anche più chiari rispetto a chi siamo; è un atto vitale di affermazione. 

Dialogo e riconciliazione. Nella sequenza di storie narrate da un pubblico, un narratore risponde sempre a quello che è stato narrato prima. I narratori commentano le storie precedenti in un complesso pattern di storie-verità alternative (noi chiamiamo questo collegamento “il filo rosso” di una performance). Per cui il playback risulta essere un buon format per un gruppo per condividere diverse prospettive su un tema. Inoltre, il contesto di ascolto rispettoso che è così centrale nel processo di PT è una condizione cruciale per diminuire il conflitto. Ricostruzione. Per la sua delicatezza, il playback è una modalità efficace per l’individuo (e per il gruppo) per favorire la transizione, per usare la formulazione di Judith Herman, da una memoria traumatica ad una memoria narrativa. Naturalmente il trauma è un problema psicoterapeutico. Ma è anche un problema sociale. In effetti, i leader civici sono spesso in difficoltà quando necessitano di strumenti di cura per una grande crisi di comunità, come un disastro naturale o una guerra. La soluzione è spesso quella di lasciare tutto alle spalle e andare avanti. In realtà, ho il fondato sospetto che senza trovare un modo per curarsi dal passato, una comunità non può affrontare creativamente il suo futuro. Immaginazione morale. Questo concetto, definito dal costruttore di pace professor John Paul Lederach, include “la capacità di immaginare qualcosa radicato nelle sfide del mondo reale ancora capace di dare vita a qualcosa che non esiste ancora”. In altre parole, abbiamo bisogno di immaginazione morale per immaginare il nostro futuro quando il presente sembra pieno di problemi e anche senza speranza. In accordo con Viktor Frankl, per esempio, fu l’equivalente dell’immaginazione morale che rese in grado lui ed altri di sopravvivere ai campi di concentramento, mentre altri, senza vedere oltre il tetro e disperato presente, non sono sopravvissuti. E’ stata necessaria l’immaginazione morale per i neri e i bianchi del Sud Africa per pianificare una transizione pacifica dall’apartheid. Il Playback Theatre, con le sue narrazioni e rappresentazioni spontanee ci ispira e ci invita a questa visione. 

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