Laura Gay

21 Marzo 2020

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L’ASCOLTO PARTECIPATO AI TEMPI DEL COVID-19

L’ASCOLTO PARTECIPATO AI TEMPI DEL COVID-19

Siamo pilotati. Controllati. Costretti.
Queste le sensazioni estremamente diffuse in questo periodo.
Guardandola ancora più da vicino è come essere derisi, a volte, dalla nostra stessa natura.
Siamo sicuramente tutti (o quasi) molto social, eppure oggi contemporaneamente così isolati, sganciati dalla nostra natura em-patica, magari molto sim-patici, ma così poco capaci di entrare pienamente nella nostra capacità di intessere relazioni e fare tessuto, rete sociale.

Svuotati dei meccanismi delle nostre consuetudini, lontani dalla normale vita sociale, appare quanto normalmente ci richieda maschere e vesti che spesso non ci appartengono completamente e, una volta nelle nostre case, svestiti di tutto, lontani dai panni che siamo tenuti costantemente ad indossare, ci troviamo oggi improvvisamente nudi, scomodi, scomodi a casa nostra.
A nulla servono le comodità: improvvisamente non c’è social che basti, programma o serie televisiva che soddisfi.

La casa è definita “lo spazio del soggetto”, l’area in cui la persona, libera di fare e essere come vuole, si ri-trova, tra mura conosciute, abitudini e legami consolidati.
Oggi però le case possono rappresentare una gabbia, che, anziché accomodare le nostre stanchezze, sconvolge la normale routine e ci obbliga a spostarci dalle consuetudini.
Siamo come topi in gabbia, catturati sulla scena delle nostre giornate nel mondo artificiale, spesso troppo costruito e apparente.

Quali ruoli siamo stati così bravi a vestire da non sapere più chi siamo? Sconvolgere le nostre consuetudini oggi cosa sta mettendo in luce?
Ma dove’è la vera cattività?

L’arrivo di una minaccia virulenta così forte, ha spezzato forse anche le catene psico-sociali a cui siamo stati adesi per tutta la vita. Un intero pianeta blindato, una intera Umanità, dove però il senso di essere umani si sta risvegliando e vuole uscire, richiamato dalla sua stessa essenza. Essere connessi.

Svestiti dei panni del professionista, del collega, del “essere questo o quello”, eroi della nostra quotidianità, oggi ci sentiamo più vulnerabili.
Ma la vulnerabilità è solo qualcosa di cui avere paura o è anche un valore?
Cosa resta dell’eroe svestito del suo essere eroe?
La paura che imputiamo al virus che arriva da lontano è forse paura di contattare lo straniero che ci abita?

Siamo noi la casa. Siamo noi quello straniero.

Un tempo vuoto ci si offre per conoscerlo.
Un tempo da lasciare al silenzio, dove al contraltare delle canzoni urlate dal balcone, si pone e si impone dentro alle case, la possibilità di ascoltare qualcosa di inedito che ci riguarda. Nei silenzi delle stanze, apparentemente conosciute, tra le pieghe delle abitudini, meditatori meditanti del battito del nostro cuore qualcuno direbbe, emerge il desiderio di venire allo scoperto.

Quasi una resa dei conti.

Il desiderio di conoscere e conoscerci davvero, ascoltandoci profondamente, è forse oggi è la ricchezza più preziosa e umana che possediamo, e che va recuperata, perché è la via per trovare ciò che non c’è ancora o si è perso della nostra natura sociale, dalla nostra capacità di essere rete e non solo fare rete, dove sviluppare risorse inaspettate e poteri nuovi.

Marco Finetti

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